
Medico e giornalista sportivo.
Un benvenuto a tutti i 650 partecipanti al congresso, provenienti da tutti e cinque i continenti!
Vorremmo anzitutto rivolgere un
saluto particolare alle personalità che sono qui presenti, del mondo della
politica, della comunicazione e del mondo dell’Università. Un grazie a ciascuno
per aver voluto essere qui con noi.
La presenza a questo congresso non è
qualificata solamente per la ricchezza delle provenienze geografiche: sono
presenti fra noi praticamente ogni professionalità nel campo delle comunicazioni
sociali. La presenza più consistente è senz’altro quella dei giornalisti della
carta stampata, della radio e della televisione, delle agenzie di stampa, dei
diversi settori delle pubbliche relazioni o della comunicazione aziendale.... Ma
molti sono anche gli operatori con altre professionalità: produttori del cinema
e della televisione, operatori nel sempre più vasto settore di Internet e dei
new media, ma non mancano fotografi ecc.
I recettori, la fondamentale e
numericamente più consistente realtà del mondo della comunicazione, sono qui
rappresentati da alcuni qualificati responsabili di associazioni di recettori. È
evidente che la loro presenza permea, anima, sostanzia tutti gli ambiti del
nostro lavoro professionale. Non a caso proprio il numero della rivista "Città
Nuova", che avete trovato nella cartellina, dedica il suo speciale al tema "TV e
minori". Troveremo certamente in futuro un’occasione per un dialogo sul ruolo e
la realtà dei recettori.
La realtà dei media è sotto i nostri occhi
quotidianamente: le enormi potenzialità aperte dall’accelerato sviluppo
tecnologico dei media si scontra con rischi sempre più grandi ed incontrollabili
di perdita del controllo dei poteri,... potremmo continuare a lungo su questo
tema, ma ci fermiamo. Perché?
Perché, come avrete visto dal programma,
abbiamo fatto una scelta: abbiamo scelto di non concedere troppo spazio
all’analisi delle problematiche.... Siamo ben coscienti di queste, ci muoviamo
in esse, siamo immersi in esse....
In questi giorni ci affideremo alla
lezione della vita, più che a quella delle elaborazioni teoriche: molti dei
presenti ci faranno entrare nel loro vissuto quotidiano, a volte affascinante, a
volte problematico o persino drammatico. A segnare il percorso del congresso
sarà senz’altro l’intervento di Chiara Lubich che sentiremo tra breve: sulla sua
linea abbiamo l’ardito proposito di tentare di ricavare da esperienze vissute,
piccole e grandi, quotidiane o occasionali, possibili percorsi di elaborazione
culturale, obiettivi comuni che possono guidare il nostro lavoro e condivisibili
con chi lavora al nostro fianco.
Forse ci sono tante impostazioni fra
noi, tanti valori diversi a cui ciascuno cerca di rifarsi, ma vogliamo pensare
che lavorare per un mondo più unito può essere il comune denominatore condiviso
dai presenti; vogliamo provare a capire, in questi due giorni, se esistono e
quali sono, quei semi comuni che muovono il nostro lavoro, quelle tracce di
percorso comune che legano nel nostro quotidiano comunicazione ed unità.
Come avrete visto dal programma, abbiamo voluto provare a sezionare in
tre sessioni il nostro approccio al tema "comunicazione e unità". Ci teniamo a
sottolineare questo "e" che abbiamo tenuto nei titoli, ad indicare una ricerca
di sintesi fra termini spesso ritenuti in forte antagonismo fra loro. Così nella
prima sessione, approfondiremo il tema comunicazione e unità rispetto a
"relazioni e condizionamenti", entrando in particolare nella realtà dei rapporti
dentro la comunicazione, rapporti fra operatori, fra giornalisti in una
redazione, per fare un esempio; rapporti con l’editore, rapporti con il
fotografato, o l’intervistato, o le persone filmate; rapporti con il pubblico,
con i recettori. Domattina apriremo i lavori del congresso con l’intervento di
Sergio Zavoli, giornalista di fama internazionale, che molti di voi conoscono,
già presidente della RAI, la radiotelevisione italiana, che ci aiuterà a leggere
il tema di Chiara nella prospettiva della comunicazione oggi. La seconda
sessione, sempre domattina, "comunicazione e unità: le persone" ruoterà attorno
al tema "valori e audience", ovvero quella dinamica su cui si muove la ricerca
della verità dei fatti, della valorizzazione della persona umana e della sua
potenzialità sociale, accanto agli indici di ascolto e di gradimento di un
prodotto.
La terza sessione si aprirà sulle prospettive, quelle fornite dai
nuovi media, ma anche quelle nella direzione del mondo unito, il tutto in
rapporto con le dinamiche della globalizzazione.
Vorremmo poi concludere con
alcuni concrete proposte per restare legati e per continuare a lavorare insieme
ai progetti che nasceranno in questo congresso. Domenica mattina, come sapete,
si celebra nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, il Giubileo dei Giornalisti, con una
celebrazione eucaristica ed una udienza alle 12.15 con il Santo Padre. Molti di
noi saranno presenti a questo appuntamento.
A questo punto pensiamo sia
evidente a tutti che la ricchezza e la varietà delle lingue, dodici, delle
razze, delle culture presenti, accanto alla diversa e specifica qualificazione
professionale, non rappresenteranno soltanto un arcobaleno geografico e
professionale, ma ci permetteranno di cogliere, da un confine all’altro della
terra quella matrice comune ed insieme la bellezza della particolarità, l’unità
accanto alla distinzione.
Proprio per incominciare a conoscerci abbiamo
chiesto di venire qui sul palco ad alcuni dei partecipanti del congresso. Alcuni
li abbiamo incontrati ieri sera all’arrivo qui, altri sono arrivati
stamattina....
Brevi interviste

·
Laura, qual è oggi la tua situazione di lavoro?
Laura: Prima
di tutto voglio salutare tutti e dire loro che sono felice di essere qui. Sono
15 anni che lavoro come giornalista e la mia formazione è nel campo della
filosofia e della comunicazione sociale. Lavoro a Mendoza, sono sposata, ho tre
figli e la mia scelta per i mezzi di comunicazione nacque proprio da questa
voglia di trovare la verità e trasmetterla. Io sono qui, in realtà, per due
cose: la prima perché stiamo vivendo un momento particolarmente critico nelle
comunicazioni sociali dove lavoriamo; sembra che la legge del mercato sia
l’unica legge che esiste. Ti dà soldi, ti fa pubblicare, ti fa fare un
programma. Se non ci sono soldi il programma non si può fare e la notizia non
può essere pubblicata. Per questa situazione la domanda che io porto con me al
congresso è: può esistere una via d’uscita a questa situazione che stiamo
vivendo noi giornalisti in tutto il mondo? Nel 1998 Chiara è venuta in Argentina
fra i giornalisti e abbiamo intuito una nuova chance: sono qui per sapere quello
che Chiara ha oggi da dire a noi dei mezzi di comunicazione.
Piero Damosso, giornalista televisivo, vice caporedattore della
redazione cronaca, società e ambiente del TG1, il principale telegiornale della
rete televisiva nazionale italiana.
· Piero: cronaca, società e ambiente,
come dire la redazione più grande e per certi versi più invasiva nella vita del
telespettatore. È così, Piero?
Piero: Si, perché gli
argomenti che trattiamo sono quelli della cronaca nera, della cronaca
giudiziaria, le questioni dell’immigrazione, dell’ambiente, della sanità, della
bioetica, della scuola, della famiglia… Tutte queste questioni sono campi
delicati dove entrano direttamente in gioco valori e disvalori e attraverso cui
si promuovono e si bocciano più o meno implicitamente, veri e propri modelli e
stili di vita. E’ quindi una grande opportunità, ma anche una responsabilità
enorme che ci costringe tutti i giorni ad un grande sforzo per selezionare i
fatti e rappresentarli in un telegiornale che deve tener conto sempre di più di
tempi velocissimi di produzione, di una concorrenza durissima, di leggi di
mercato legati all’audience, degli equilibri politici e degli interessi dei
poteri forti dell’economia e della finanza. Di fronte alla quantità crescente di
notizie e di avvenimenti nel mondo (un solo esempio: sulle agenzie che ci
arrivano nelle redazioni dei telegiornali durante la giornata, spesso le notizie
escono al ritmo anche di 5,6 al minuto) nei telegiornali alla fine c’è spazio
solo per una ventina di notizie, di fatti, al massimo. E questo significa la
necessità di dover scegliere e la battaglia è innanzitutto sulla selezione, la
selezione dei fatti da raccontare e da proporre al pubblico e ai pubblici che ci
seguono. La tentazione è quella di scegliere quello che garantisce l’audience
sicura, facile, che vuol dire spesso appiattirsi sul profilo accattivante del
pettegolezzo di palazzo, della spettacolarizzazione del dolore, della
esasperazione della polemica e dei conflitti, dei contenuti più effimeri della
cronaca rosa. Io vorrei soltanto citare tre esempi: è accaduto che nei
telegiornali siano stati riportati voci raccolte tra la gente o anche tra leader
politici, voci che praticamente incitavano a buttare a mare gli extracomunitari
che arrivano in Italia e sbarcano in Puglia o sulle coste calabresi. Un altro
argomento: in questi giorni si è raccontato della polemica sulla sfilata degli
omosessuali a Roma e c’è stata una rete televisiva privata che ha mandato in
onda delle interviste e c’erano persone che dicevano "io li brucerei tutti...".
Un altro esempio ancora: quando si racconta un omicidio e si va con il microfono
dai famigliari delle vittime e c’è qualche famigliare che chiaramente
pietrificato dal dolore ha la tentazione di dire "io l’ammazzerei". Ecco, i
mezzi di comunicazione, qui, ci appaiono per quello che possono diventare:
possono essere strumenti del bene o del male; possono essere strumenti che ci
aiutano a ricostruire i rapporti tra le persone, l’unità tra le persone, oppure
possono essere strumenti che alla fine amplificano gli odi, le violenze. La
sfida bella e terribile che tutti i giorni ci accompagna è questa.
· Piero, tu hai presentato il Supercongresso Gen3, ne hai fatto
la conduzione per la televisione e oggi sei qui. Che cosa ti aspetti da questo
congresso?
Piero: Io mi aspetto un aiuto a vivere il
cristianesimo in una realtà così tremenda. Per fare un’informazione che sia
davvero per l’uomo, per lo sviluppo integrale della persona che vive in una
comunità, ci vuole una conversione personale e oggi è più che mai necessaria per
me un’inversione di rotta nella mentalità. Io ho ascoltato recentemente Chiara
Lubich in Campidoglio a Roma, in occasione della cittadinanza onoraria, e ho
avvertito la novità di una proposta che può farci vivere in un modo diverso la
nostra professione. Amare per primi, amare tutti, amare i colleghi cercando di
superare le competizioni, le calunnie; amare le persone di cui do notizia
evitando le lapidazioni pubbliche; amare i telespettatori offrendo un prodotto
che non faccia male alla loro anima, anzi che possibilmente faccia bene. Allora
il telegiornale può diventare anche un’occasione unica per raggiungere
moltissimi e persino per fare opere di misericordia; entrare nelle case e negli
ospedali, visitare gli ammalati, entrare nelle carceri, visitare i carcerati;
consolare gli afflitti; fare compagnia alle persone sole; accogliere gli
stranieri.... Allora il cristianesimo in questo modo entrerebbe nel telegiornale
non solo perché si garantisce la diretta del Papa e nemmeno perché si dà conto
anche del punto di vista dei cattolici, giusto apponendolo a tutti gli altri
punti di vista. Allora l’amore del Vangelo sarebbe incarnato, più vissuto
all’interno di una professione e quindi più incisivo per noi stessi e forse
anche per quelli che ci seguono.
Torniamo in
Argentina, a Buenos Aires, per conoscere Hector Lorenzo, giornalista,
speakerradiofonico e televisivo.
· Hector, ci dici qualcosa del tuo lavoro
oggi?
Hector: Si. Da più di 25 anni lavoro come speaker nella
radio e nella televisione, facendo ogni tipo di programma di generale
informazione e commenti sulla cultura argentina e nel mondo. Ho lavorato anche
per agenzie di notizie; forse uno dei lavori più interessanti è stato lavorare
per molti anni in una agenzia giornalistica del nord America che trasmetteva per
Argentina, Uruguay, Cile con i mezzi di stampa di questi paesi. Questo lavoro ha
occupato molto tempo. Mi ha conquistato il cuore veramente seguire Giovanni
Paolo II in molti continenti, lavorando per la radio, giornali e agenzie
informative. Sono ritornato in Argentina nel ’79 e ho incominciato a tenere
conferenze su questi viaggi a gruppi universitari, parrocchie e praticamente in
quasi tutte le province argentine, comprese le comunità indigene, che per la
prima volta conoscevano Giovanni Paolo II, e anche persone asiatiche, africane,
per poter trasmettere quello che il Papa dice e fa nel mondo, la sua
spiritualità.
· E oggi sei qui con noi. Che cosa ti aspetti da
questo congresso?
Hector: Io mi aspetto che questa felicità
di trovarci tutti insieme cresca e che cresca in una fraternità più profonda per
camminare insieme in questo cammino verso l’unità e che, quando ritorneremo alle
nostre città, dove lavoriamo, davanti ad uno schermo o microfono o una camera,
sentiamo, pensiamo con profondissima convinzione che tutti quelli che siamo qui
stanno con ciascuno di noi lì dove lavoriamo con una presenza dello spirito che
ci unisce per lavorare per un mondo unito.
Attraversiamo il
Pacifico e andiamo nelle Filippine, a Manila. Boots Anson Roa è una
famosa attrice di cinema e di televisione del suo paese. Ha recitato, tra
l’altro, in più di una decina di film con Joseph Estrada, famoso attore, ora
presidente delle Filippine. Boots è membro della commissione media e
comunicazione dell’UNESCO. Attualmente è presidente della ABC, la terza rete
televisiva per ordine di importanza nelle Filippine.
· Boots, un lavoro di
tanti in prima linea nei media, è così?
Boots: Mille grazie,
Paolo. Vi saluto tutti, auguro una buona mattinata a tutti voi. Sono stata molto
onorata di lavorare con tutti i media nelle Filippine. Lavoro da 30 anni in
questo campo: ho cominciato all’età di 2 anni – ho 52 anni – ho quattro figli e
sei nipotini e sono molto fiera di tutti loro. Sono anche molto lieta di essere
filippina e vi chiedo di fare un applauso a tutti i filippini che sono qui in
sala.
Come ho detto prima, io lavoro da 30 anni, ho cominciato quando ero
ancora all’università, ho incontrato mio marito in una presentazione alla Tv e
lui è qui con me e tutti e due abbiamo scritto, abbiamo prodotto film e adesso
ho il privilegio di avere la terza stazione di tutto il paese; è come una
corporazione privata, però appartiene al governo delle Filippine, il governo non
ci dà soldi, ma noi dobbiamo rendere conto al governo. Però facciamo anche dei
programmi di pubblicità e con queste entrate andiamo avanti. Noi occupiamo tanti
spazi, siamo persone che possono essere buttati da ogni parte, però siamo come
pesci nell’acqua, nel senso che possiamo sopravvivere dappertutto. Dio lavora in
modi misteriosi. La domanda sul perché sono qui.... Io devo dire che non ho mai
sperato di essere qui. Io sono amica del focolare e quando ho incontrato il
focolare ho chiesto loro di lavorare nella nostra stazione televisiva, di
portare valori cristiani. La mia speranza è in questa stazione televisiva: noi
abbiamo mille culture, abbiamo tante lingue diverse, però crediamo fortemente
che il linguaggio universale, quello dell’amore, della pace, dell’unità debba
aiutarci a promuovere quello che Chiara ha fondato attraverso il focolare…
Ancora tanti auguri a tutti voi.
Torniamo in
America, negli USA, per conoscere Edward Roy. Ed vive a New York, ha
percorso le tappe di una carriera nel campo della televisione: ha cominciato
come cameraman, poi come regista e ora come produttore
televisivo.
Roy: Buon giorno. Io ho lavorato nella televisione per
la produzione film per 9 anni e una delle ragioni per cui io ho deciso di far
parte di questo gruppo e di questo lavoro, è perché volevo avere una influenza
sulla vita delle persone e anche su come guardiamo il mondo e su come ci
guardiamo noi.
La mia prima occasione di lavoro in televisione è stata la
cura spirituale ai moribondi. Quando ho sentito che questo era il tema, ho
pensato che sarebbe stata una grande occasione per influenzare le persone che
sono in fin di vita a vivere questo momento con più positività. Quello che non
sospettavo è che anch’io sarei stato invogliato a essere un produttore di film.
Durante la produzione io lavoravo come cameraman e mentre viaggiavamo abbiamo
trascorso molto tempo in ospizi per moribondi. In questo tempo, i nostri primi
contatti negli ospedali sono stati molto cauti perché non sapevamo cosa avremmo
trovato. Ma abbiamo visto che quasi tutte le persone erano aperte alla
televisione e disponibili a raccontare la loro vita.
Mi ricordo in
particolare di un giovane che aveva l’AIDS e la nostra impressione era che non
voleva essere disturbato e quindi siamo rimasti un pó distanti da lui. Ma dopo
alcuni giorni abbiamo visto che sua madre venire da noi e dirci che il ragazzo
voleva esserci nel nostro documentario. Era molto debole e non poteva quasi più
parlare, però siamo riusciti a stare con lui per 30 minuti e abbiamo filmato la
interazione fra lui e la madre e i due fratelli. Io ero molto commosso nel
vedere quanto rispetto avevano per questo giovane che stava morendo e l’amore
incondizionato che hanno espresso per lui. Più tardi, prima di partire, avevo la
possibilità di passare nella sua stanza e ho pensato che potevo salutarlo.
Durante la ripresa non sapevo cosa dire… gli ho detto: grazie per aver
partecipato.... Poi lui mi ha dato la sua mano...e mi è venuta l’idea di
chiedergli di pregare per me. Ho esitato per un momento perché non sapevo quale
era la sua fede. Ma dopo io ho ascoltato la voce di Dio dentro di me Ho chiesto
a questo ragazzo di pregare per me; lui mi ha chiesto di ripetere la domanda.
Allora io ho pensato che forse non credeva in Dio, però gli ho rifatto di nuovo
la domanda: per favore, prega per me. Allora i suoi occhi si sono riempiti di
lacrime, ha fatto un grande sorriso e ha detto di si. Alcuni giorni dopo, quando
siamo partiti, la mamma ci ha chiamati e ci ha detto che il suo ragazzo era
morto. Ci ha detto che gli ultimi giorni con suo figlio erano stati molto
speciali perché prima che noi arrivassimo era stato molto depresso, ma
attraverso questo nuovo contatto ha avuto una nuova gioia e questo è stato un
dono importante per tutta la famiglia.
Ho anche incontrato un altro signore
che stava morendo di cancro. Ho incominciato a conversare con lui e ho visto che
era solo. Doveva esserci anche la sua famiglia quando ho fatto l’intervista, ma
lui era da solo. Alla fine ci siamo scambiati gli indirizzi. Si chiamava
Charlie. Nei mesi successivi abbiamo avuto una corrispondenza e ci siamo anche
telefonati. Anche lui è morto, ma se io guardo il documentario e vedo la sua
faccia mi rendo conto che sono stato un po’ famiglia per lui e lui lo è stato
per me.
Dopo questa esperienza e dopo altre ancora, ho fatto una nuova
scoperta: come produttore di film, ho visto che l’influenza che posso avere
sulla vita delle persone non è quando il film va in onda, ma prima, quando viene
fatto. Ho scoperto questo rapporto d’amore che costruisco con i miei colleghi,
con quelli che ho davanti nella camera e questo ha la stessa importanza del
risultato finale del film. Ho visto che il progetto non finisce mai.
Silvia Gambardella, Stati Uniti, New York, vive e
lavora a Los Angeles. Silvia è per la prima volta ad un incontro internazionale
del Movimento dei Focolari.
· Silvia, che cosa ti aspetti da questo
incontro, perché sei qui?
Silvia: Grazie! É un onore per me
essere qui. Quando Paolo mi ha chiesto ieri di parlare, sono rimasta molto
sorpresa perché non me lo aspettavo e mi sono chiesta che cosa avrei detto. Io
sono amica del focolare, lo sto scoprendo, conoscendo e allora mi sono detta che
il mio intervento non poteva essere un dono per voi perché io ho lavorato nella
televisione commerciale per 25 anni, ho cominciato quando avevo un anno…
Stamattina a colazione ero sorpresa perché ci sono tante cose che abbiamo in
comune; io lavoro per varie stazioni televisive e negli ultimi anni sono
diventata indipendente e faccio documentari per tante stazioni e ho fatto per i
carcerati e per i condannati a morte. Quello che io ho capito, parlando anche
con tanti di voi, è che abbiamo tante cose in comune. E io mi aspetto tanto da
questo congresso. Voglio rimanere in contatto, voglio che ci sosteniamo a
vicenda.... Posso essere d’accordo sul fatto che abbiamo una professione molto
dura: in America dobbiamo essere molto oggettivi nelle nostre storie, nelle
nostre presentazioni...la religione è un tabù e non se ne parla…si devono fare
delle domande, fare un’intervista a qualcuno che ha perso una persona cara....
Però i nostri superiori sentono che questa è una domanda molto
importante...dobbiamo capire le emozioni… quello è importante per l’audience. E
questo aiuta a fare soldi. Non è come nelle Filippine. Vedo che voi fate dei
programmi con dei budget molto bassi; io ho visitato prigioni, ho visitato
persone che sono davanti alla morte e per me è un onore farli parlare nei nostri
programmi.
Marinita Neves, Brasile, Recife, Stato del
Pernanbuco. Sapete che qui sono presenti molti studenti della comunicazione:
Marinita è docente di giornalismo all’Università, dove, in particolare, insegna
televisione.
· Marinita, perché sei qui?
Marinita: Io
sono qua perché spero di vedere una strada in questo incontro per scuotere il
mondo della comunicazione. Per me sarà un passo in avanti, sarà anche importante
lo scambio fra noi come professionisti. Quando ho incominciato a vivere la
spiritualità la mia vita è cambiata e credo che cambia la vita a tutti quelli
che entrano in questa avventura: ha cambiato la politica, ha cambiato l’economia
e spero che questo incontro possa fare vedere una strada per rivoluzionare la
comunicazione. Non è poco, vero?
Ritorniamo in
Italia. Marco Aleotti, regista televisivo, cura la regia del più
importante tolk show che tratta temi di politica, di attualità in Italia, è
regista per la televisione italiana dei grandi eventi ed in particolare dei
grandi eventi che riguardano il Santo Padre. In particolare abbiamo seguito,
marco, il tuo lavoro con Ermanno Olmi nella regia della trasmissione di apertura
della porta santa.
· Marco, è stato un avvenimento importante per te?
Marco: Si. Forse quella è una cosa interessante da raccontare
perché con Ermanno, per quella trasmissione che è una trasmissione sicuramente
importante, si incontravano due mondi: quello del cinema – perché Olmi è un
direttore di film – e la televisione, perché appunto noi dovevamo fare un
avvenimento in diretta di più di tre ore. Quindi è stato molto interessante dal
mio punto di vista, perché sono due mondi che praticamente non hanno nulla in
comune – chi di voi appartiene al cinema o alla televisione lo sa benissimo – è
stato molto interessante perché si sono creati dei momenti anche di frizione e
ad un certo punto si è scelto, fra di noi, di costruire un rapporto. Io ho fatto
questa esperienza - che penso sia interessante, sicuramente non la dimenticherò
più -: noi normalmente mettiamo al primo posto del nostro lavoro il prodotto,
perché è quello sul quale ci confrontiamo, quello che tutti vedranno, quindi a
volte siamo costretti, per il prodotto, a passare sopra la testa di tante
persone. Questo non è giusto. Quindi ho fatto l’esperienza che si può fare un
buon prodotto e allo stesso tempo avere un rapporto importante, profondo con i
propri collaboratori.
Adesso concludiamo
con l’Africa. E’ qui con noi Florent Gimagesa
· Io penso che a nome di tutti ci
viene spontaneo fargli una domanda Florent, che cosa significa comunicazione per
la cultura africana?
Florent: Grazie, Paolo. Ringrazio chi ha
organizzato questa grande riunione a livello internazionale. Sono contento di
parlare dell’Africa qui davanti a voi, per dare qualche linea della cultura
africana sui mezzi di comunicazione. Alla domanda che Paolo mi pone rispondo: al
di là di tutti i mezzi di comunicazione attuali, moderni, l’Africa tradizionale
ha comunicato con mezzi differenti che la natura gli offriva e ha comunicato
nella cultura africana, con le tribù vicine e all'interno della società,
utilizzando differenti mezzi di comunicazione, ma quello che domina in Africa è
la tradizione orale. Il messaggio si passa – o si passava – da una persona
all’altra, per via orale. E non solamente questo, perché al di là della voce
umana, che abbiamo utilizzato per la comunicazione, l’uomo ha utilizzato il
mezzo che la natura gli donava. Ha utilizzato – si utilizza ancora – in Africa,
per comunicare con i vicini, con altri villaggi, nel giro di 100 chilometri,
vari mezzi di comunicazione come il corno, si soffia e il suono che parte arriva
fino al recettore, trasmette un segnale e si sente che c’è qualcosa che arriva e
allora si corre verso il centro, in un altro luogo.... Se ha utilizzato il tam
tam.... Io ho portato qui il tam tam e voglio dare due suoni per trasmettere un
messaggio e so che è un messaggio limitato. Nella cultura africana ha un
significato molto ricco questo messaggio e a questo livello vi do due tipi di
messaggio attraverso il tam tam che ho qui davanti a me. Il primo messaggio è un
messaggio di gioia, di danza, per esprimere la gioia di vivere insieme (esegue
un brano ai tamburi).
Il secondo è un messaggio d’urgenza: bisogna agire
subito(esegue un brano ai tamburi).
Ringraziamo tutti e ciascuno.
Vorremmo terminare questa breve, ma ricca panoramica di presentazione di alcuni
dei 700 presenti, con un filmato, realizzato dalla Sylvester Production, una
azienda di produzione televisiva belga, i cui promotori sono presenti in sala e
che conosceremo in questi giorni. Essi hanno realizzato per il congresso un
breve spot sulla comunicazione oggi, sulla "comunicazione" come risorsa presente
in ciascuno e sulle potenzialità di dialogo che la tecnologia può moltiplicare
all’infinito. Sarà un pò la sigla che ci accompagnerà in questo congresso:
vediamolo insieme.
(spot)
Chiara Lubich sarà tra breve qui con
noi. Chi è qui, anche per la prima volta, non ha probabilmente bisogno di
conoscere un profilo di Chiara. Altrettanto sono noti a tutti, forse, gli
sviluppi che il Movimento ha avuto negli ultimi anni in campo sociale, accanto a
quelli già noti nel campo del dialogo ecumenico, interreligioso, nel dialogo fra
Movimenti e con persone di altre convinzioni.
Chi condivide oggi la
tensione a lavorare per un mondo unito, a costruire insieme con altri un
segmento di unità nel quotidiano, sa infatti che negli ultimi anni, nell’ambito
del Movimento sono andate sviluppandosi, con una accelerazione impensata, le
potenzialità sociali di questo messaggio.
Tutti conoscete, ad
esempio, la realtà dell’economia di comunione, che alimentata dal lavoro di più
di 700 grandi o piccole aziende nel mondo va suscitando l’interesse anche di
economisti e studiosi che vi ritrovano concretizzata la matrice di una nuova
cultura del dare. Tanti conoscono il nascente Movimento dell’unità in politica,
che lega e sostiene l’impegno politico di tanti dentro e vicino al Movimento dei
Focolari, e che terrà qui, proprio fra una settimana il suo primo congresso
internazionale con rappresentanti politici di tutto il mondo espressioni di
diversi raggruppamenti partitici. Così è avvenuto per il mondo dell’arte che ha
visto un anno fa in questa sala radunati più di 1500 artisti, delle più diverse
espressioni. Così sta avvenendo per la psicologia ecc.
Ed oggi la
comunicazione. Mi vengono in mente le parole pronunciate da Chiara
all’Università Cattolica di Bangkok, in Tailandia, quando due anni fa le è stata
conferita la laurea in Comunicazioni Sociali: sono parole, le sue, che ci
possono aiutare ad avere una chiave di lettura del programma di questi giorni:
"esperienze, - diceva Chiara - magari circoscritte … ma un seme...per operare
nei media per quello che sono: strumenti per realizzare un mondo più
unito".
Il nostro appuntamento è quindi inserito in una realtà ben più ampia
di quella che ci troveremo a vivere in questi due giorni: quella di un popolo,
un piccolo popolo, che da un confine all’altro della terra lavora per l’unità,
per dare il suo contributo ad una civiltà dell’amore. Così è stato solo poche
settimane fa in Africa, nell’incontro del popolo Bangwa di Fontem, nella foresta
del Camerun: colori, suoni, danze hanno consacrato l’adesione a lavorare per un
mondo unito di una intera tribù.
La costruzione del "villaggio
globale" dell’unità va avanti e così andrà avanti anche in qu del Congo, Kinshasa,
studioso della comunicazione sociale.esti giorni....
Buon congresso!