A quasi due anni da uno dei naufragi più contestati dei migranti provenienti dalla Libia, viene smontata la tesi accusatoria della morte di 9 nigeriani e ghaniani cristiani ad opera di compagni di viaggio musulmani.
Con Giulio Albanese eravamo stati i soli in Italia a non credere alla bufala dell’aprile 2015 (https://www.cittanuova.it/le-domande-scomode-sui-cristiani-gettati-in-mare/ ), quando i giornali ripresero con grande spazio una notizia proveniente dal Canale di Sicilia: nove migranti sarebbero stati gettati a mare dal gommone sul quale erano imbarcati perché cristiani, perché si erano rifiutati di pregare Allah durante la traversata del Mediterraneo verso le coste siciliane. Il Pm Maurizio Scalia aveva chiesto l’ergastolo per quegli ivoriani, senegalesi e maliani che, nel corso di un alterco durante la navigazione, se l’erano presa con i nove nigeriani e ghanesi di religione cristiana. C’erano dei testimoni, ma di parte, che avevano raccontato tutto alla Squadra mobile di Palermo, dove erano stati sbarcati dalla nave Ellensborg che li aveva raccolti.
«I media fabbricano false notizie. Stanno diventando pazzi con le loro teorie cospirative e il loro odio cieco. Msnbc e Cnn sono inguardabili. Fox è grande». È uno degli ultimi tweet del presidente Trump, che si scaglia contro i media usando proprio un medium per denunciarli. Contraddizione in termini? Forse. In realtà si direbbe piuttosto che i media siano ormai necessari, anzi indispensabili, alla politica. Ma i media stessi senza la politica trasformata in teatrino diventerebbero poca cosa.
Nel 1967 Guy Debord, uno studioso francese un po’ lunatico e sballato, ma visionario e futurista, marxista e strutturalista, pubblicò un libro rimasto famoso tra gli studiosi di comunicazione: La société du spectacle, la società dello spettacolo. Sosteneva esattamente quel che poi è avvenuto: i media avrebbero trasformato il teatrino della politica in un gran circo per le folle.
Il caso, tutto romano, dell’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, “smascherato” da un giovane giornalista de La Stampa che ne ha raccolto le critiche sulla giunta capitolina di Virginia Raggi, richiama qualche riflessione generale sull’etica della professione giornalistica.
I quotidiani hanno parlato della vicenda (che alimenta le polemiche sulla giunta a 5stelle, già colpita da inchieste e avvisi di garanzia) quasi mettendo in luce l’abilità del cronista – precario e dunque particolarmente sollecito – nel carpire informazioni “bollenti” e opinioni scomode, e lo stesso è emerso dal dibattito sui social, fra colleghi e lettori. Nessun coro di trionfo – stando almeno alle nostre osservazioni – ma l’apprezzamento più o meno velato per un’intraprendenza che ha conquistato lo “scoop”.
Lo scoop, ovvero scovare e pubblicare una notizia relativamente importante prima degli altri: un obiettivo quasi mitico, inafferrabile e irraggiungibile, soprattutto nell’era della condivisione digitale. Un obiettivo che a tutti i giornalisti in erba, fin dalle scuole di formazione e nei primi passi all’interno delle redazioni, viene presentato come la gallina dalle uova d’oro, il traguardo che merita il bonus, il premio o magari l’avanzamento, talvolta il feticcio a cui sacrificare la deontologia professionale. Per carità, nessun docente vi dirà mai di farlo, ma qualche direttore, forse, vi esorterà ad osare.
È un quadro in chiaroscuro il IV Rapporto dell’ Associazione Carta di Roma sul racconto delle migrazioni attraverso i media. Dal titolo “Notizie oltre i muri” il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio di Pavia, in collaborazione con l’Osservatorio europeo per la sicurezza, rileva luci e ombre nella narrazione che nel 2016 giornali e tv, italiani e non solo, hanno fatto del fenomeno delle migrazioni forzate, del dibattito politico che si è sviluppato a livello nazionale e internazionale, delle politiche e delle iniziative di accoglienza e integrazione come dell’ondata di populismo che si è diffusa in Europa. Un quadro che mostra ampie possibilità di cambiamento.
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